Il sole a scacchi, 2011

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view post Posted on 18/5/2011, 15:19




GELA (CALTANISSETTA) - Vasta operazione antimafia contro le cosche mafiose di Gela che avrebbero proiettato i propri interessi criminali in alcune zone del Nord Italia, tra la Sicilia, Lombardia e la Liguria. La polizia ha notificato 63 ordinanze cautelare in carcere, firmate dal Gip di Caltanissetta su richiesta della Dda, nei confronti di esponenti di spicco dei clan Rinzivillo ed Emmanuello. Sono accusati, a vario titolo, di estorsione, associazione mafiosa, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, incendi, detenzione e porto di armi.

L'indagine è stata condotta dallo Sco e dalle squadre mobili di Caltanissetta, Varese e Genova, due province del Nord Italia dove le cosche gelesi si sarebbero insediate da tempo.
Nell'ambito dell'operazione, denominata in codice Tetragona, sono stati anche sequestrati appartamenti, ville e società edili, per un valore di oltre 10 milioni di euro.

Gli affiliati delle due cosche, da tempo in lotta tra loro per il predominio mafioso, erano inoltre coinvolti in un traffico di cocaina importata da Santo Domingo. I proventi illeciti venivano reinvestiti in immobili ed imprese commerciali nel Nord Italia. Sono state infine accertate numerose estorsioni nei confronti di imprenditori del settore edile e di titolari di esercizi commerciali. Delle 63 ordinanze di custodia cautelare, 36 sono state notificate in carcere a persone già detenute.

Tra gli arrestati anche un dipendente del Comune di Gela, Angelo Camiolo, ritenuto uomo di fiducia del clan Emmanuello e vicinissimo all'ex reggente, Crocifisso Smorta, ora collaboratore di giustizia. L'impiegato comunale avrebbe avuto il compito di informare la cosca sugli appalti banditi dal Comune di Gela e successivamente di riscuotere il pizzo dagli imprenditori che effettuavano i lavori.

Le indagini, durate tre anni, hanno permesso di svelare la complessa realtà di Cosa nostra di Gela e le sue ramificazioni nel varesotto e a Genova riconducibili ai Rinzivillo e agli Emmanuello. Le due famiglie rivali erano entrambe legate al capomafia della provincia di Caltanissetta Piddu Madonia, catturato nel 1992. Dopo la morte del boss Daniele Emmanuello, nel 2007, i Rinzivillo tentarono di riconquistare la leadership, approfittando della momentanea instabilità al vertice di Cosa nostra.

Il clan sarebbe riuscito a infiltrarsi nel Nord Italia, in particolare nella zona di Busto Arsizio, grazie a imprenditori gelesi compiacenti e ad alcuni affiliati rimasti in libertà. Proprio sull'asse Gela-Busto Arsizio la famiglia Rinzivillo sarebbe riuscita a reimpiegare i proventi illeciti, provenienti in particolare dal traffico di stupefacenti, finanziando attività imprenditoriali del settore edile. Nel corso delle indagini è emerso come gli uomini d'onore trasferitisi al Nord continuassero a mantenere contatti con la cosca contribuendo all'assistenza dei detenuti e delle loro famiglie, e partecipando alle decisioni di Cosa nostra.

Un capitolo a parte riguarda le estorsioni messe a segno dai due clan. Ben 15 imprenditori hanno collaborato con la giustizia denunciando intimidazioni e richieste di pizzo. Sono stati inoltre ricostruiti decine di episodi estorsivi, dalla classica messa in regola, all'imposizione di materiale da acquistare presso aziende amiche, all'assunzione di personale. Le indagini, infine, si sono avvalse della collaborazione di diversi pentiti appartenenti alla Stidda e a Cosa nostra.

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A Librino la droga fruttava 15 mila euro al giorno
Blitz dei carabinieri a Catania, 9 arresti. La banda di trafficanti si avvaleva di una fitta rete di sentinelle e pusher
17/05/2011
CATANIA - Nove persone sono state arrestate a Catania dai carabinieri della compagnia di Fontanarossa durante una operazione antidroga nel quartiere di Librino.

Tra gli arrestati, con l'accusa di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, Francesco Condorelli, di 26 anni, che aveva preso le redini di una organizzazione dedita allo spaccio di droga dopo l'arresto, il 15 marzo scorso, del padre Pietro e del fratello Angelo durante una operazione nei confronti dei presunti componenti di una organizzazione con un giro di circa 15 mila euro al giorno. Condorelli è stato bloccato mentre pranzava in casa di una delle vedette.

Oltre a Francesco Condorelli sono finiti in manette la sua convivente, di 26 anni, Salvatore Ardizzone, di 30, Natale Drago, di 18. Arrestati anche i fratelli Giuseppe e Cristian Franceschino, rispettivamente di 40 e 22 anni, che avrebbero svolto il ruolo di vedette, un 21enne incensurato ed un 17enne che si occupavano dello spaccio, e un 16enne che aveva il ruolo di cassiere.

Secondo quanto accertato dagli investigatori Francesco Condorelli avrebbe riorganizzato la piazza e, avvalendosi di una fitta rete di spacciatori e fiancheggiatori, avrebbe creato una complessa organizzazione che presidiava tutta la zona e che poteva contare su una squadra di vedette che, posizionate nei palazzi circostanti, avevano il compito di dare l'allarme in caso di arrivo delle forze dell'ordine. Lui stesso controllava la zona a bordo del suo scooter ed era in contatto via radio con spacciatori e vedette.

I carabinieri hanno sequestrato 300 grammi di marijuana, 10 ricetrasmittenti, 3.000 euro in contanti, un centinaio di cartucce da caccia calibro 12, oltre 50 proiettili per pistola calibro 7.65 e 6.35, due pistole a salve calibro 8 ed un porta tesserino con dentro la riproduzione di un placca in uso alla polizia. L'attività dell'organizzazione è stata filmata e le conversazioni avvenute mediante radiotrasmittente sono state registrate dai carabinieri. L'operazione è scattata non appena i militari hanno accertato, durante una ricognizione in elicottero, l'esatta posizione delle vedette e il luogo ove veniva nascosta la droga. Durante alcune perquisizioni domiciliari i militari hanno anche denunciato 10 persone per furto di energia elettrica. Uno di loro, Antonino Valentino Carrubba, che era agli arresti domiciliari, è stato arrestato.

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Colpo alla mafia di Cammarata
disponeva di esplosivi e armi
Tra i quattro arrestati anche uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo. Le indagini hanno permesso di fare luce sulle dinamiche di altri mandamenti limitrofi
18/05/2011
CAMMARATA (AGRIGENTO)
- I carabinieri hanno smantellato i vertici del mandamento mafioso di Cammarata e Casteltermini, nell'Agrigentino, arrestando quattro persone tra cui uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo.

L'operazione, denominata in codice 'Kamarat', è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, e dai sostituti della Dda Giuseppe Fici ed Emanuele Ravaglioli.

I provvedimenti, emessi dal gip Fernando Sestito, sono stati notificati ad Angelo Longo 47 anni, Mariano Gentile, di 48, Giovanni Calogero Scozzaro, di 53, e Vincenzo Giovanni Scavetto, di 71, al quale sono stati concessi i domiciliari. In particolare Angelo Longo, figlio del boss di Cammarata Luigi, è accusato di avere avuto un ruolo anche nel sequestro del piccolo Giuseppe di Matteo, il figlio del pentito Santino fatto poi sciogliere nell'acido su ordine di Bernardo Brusca. Tutti gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa con l'aggravante della disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle finalità dell'organizzazione.

L'indagine ha preso spunto da una serie di operazioni antimafia condotte nell'agrigentino a partire dal 2000 e si è avvalsa anche delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. che, nel corso degli anni, hanno contribuito a svelare struttura e dinamiche interne di Cosa Nostra agrigentina, oltre che identità e ruolo dei suoi principali esponenti, dedicando specifica attenzione alle dichiarazioni riguardanti il territorio di Cammarata, San Giovanni Gemini, Castronovo di Sicilia e Casteltermini.

"Gli elementi così raccolti - spiegano gli investigatori - consentono di aprire significativi squarci sulla attuale conformazione delle famiglie mafiose operanti nei territori, all'evoluzione subita nel corso degli ultimi venti anni, alla correlata ridefinizione delle sfere di influenza, considerando che si tratta di contesti territoriali di confine tra le province di Palermo, Caltanissetta ed Agrigento, ai rapporti con le famiglie limitrofe".

Il sequestro del piccolo di Matteo fu commesso in concorso con Giovanni ed Enzo Brusca, Leoluca Bagarella, Gerlandino Messina, Alfonso Falzone e Luigi Putrone. Avvenne il 23 novembre 1993 a Villabate e proseguì in provincia di Agrigento e in altre località della Sicilia. Poi il piccolo Giuseppe fu strangolato e disciolto nell'acido a San Giuseppe Jato l'11 gennaio 1996. Gli arrestati sono stati rinchiusi al Pagliarelli di Palermo.
 
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view post Posted on 21/5/2011, 14:36
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CATANIA - Due persone sono state arrestate dalla polizia di Stato per l’uccisione, con almeno un colpo di pistola alla testa, dell’imprenditore agricolo Carmelo Arcoria, di 45 anni, la cui scomparsa era stata denunciata il 13 dicembre del 2010 da suoi familiari al commissariato di Adrano. Il corpo, mai ufficialmente identificato perchè la comparazione del dna non è risultata determinante, sarebbe quello trovato carbonizzato nella sua auto, in una zona di campagna, due giorni dopo.

La scomparsa era stata denunciata dalla moglie. Agli atti dell’inchiesta ci sarebbe un’intercettazione in cui l’esecutore materiale del delitto, in una confidenza fatta a un amico, ammetterebbe di aver avuto un ruolo nell’uccisone dell’imprenditore. Il movente dell’omicidio sarebbe economico: un uomo in affari con la vittima non voleva pagargli un piccolo credito che Arcoria vantava. Nei confronti dei due indagati gli agenti della squadra mobile della Questura di Catania e del commissariato della polizia di Stato di Adrano hanno eseguito un ordine di carcerazione per omicidio, emesso dal Gip su richiesta dei sostituti procuratori Pasquale Pacifico, Lucio Setola e Laura Garufi.

Gli arrestati sono Vincenzino Scafidi, di 41 anni, e Nunzio Lo Cicero, di 35, entrambi di Adrano. Scafidi in particolare, durante una conversazione intercettata dagli investigatori, avrebbe raccontato di aver sparato alla vittima un colpo d’arma da fuoco e di avere dato l’auto alle fiamme utilizzando alcuni pneumatici. Secondo quanto emerso dalle indagini Lo Cicero condivideva interessi economici sia con Scafidi che con Arcoria, avendo anch’egli percepito indebitamente l’indennità di disoccupazione. Arcoria avrebbe vantato un credito di 5.000 euro nei confronti di Scafidi, che aveva lavorato per lui come caposquadra di cinque operai, tra i quali anche Lo Cicero, con il quale avrebbe concordato un incontro per il pomeriggio del 13 dicembre per ottenere la restituzione della somma di denaro.

La vittima gestiva una cooperativa per la raccolta di agrumi e, a causa di una difficile situazione economica, non poteva pagare numerosi stipendi. L'imprenditore sarebbe anche stato coinvolto in un giro di false attestazioni sulle giornate lavorative di braccianti agricoli per ottenere indebite indennità di disoccupazione, ragione per cui era stato anche indagato per truffa aggravata. Scafidi ha negato agli investigatori sia di avere un debito verso Arcoria sia di averlo incontrato il giorno della sua scomparsa.



PALERMO. E' stato arrestato dalla Squadra mobile di Palermo Guglielmo Rubino, 34 anni, gravitante nella cosca mafiosa di Santa Maria di Gesù a Palermo, per estorsione aggravata a un imprenditore edile. E' stato l'imprenditore a denunciare il suo estorsore che si era presentato diverse volte nei cantieri avviati per la ristrutturazione di due scuole nel quartiere di Santa Maria di Gesù. Subito dopo l'inizio dei lavori, a marzo 2009, due individui si erano presentati chiedendo 15 mila euro.
"A questo punto - ha detto il capo della Squadra mobile, Maurizio Calvino - l'imprenditore ha preso tempo, giustificandosi con difficoltà economiche dovuti al fatto che non aveva potuto incassare i mandati di pagamenti degli enti pubblici". Dopo tre mesi, Rubino, questa volta da solo, si è ripresentato al cantiere chiedendo sempre 15 mila euro per la "sorveglianza" mafiosa. Ma anche questa volta l'imprenditore era riuscito a rinviare il pagamento. Dopo diverse richieste, Rubino accompagnato da un altro uomo, è tornato venti giorni fa nel cantiere chiedendo l'immediato pagamento di seimila euro, pena la chiusura del cantiere. "A quel punto - ha proseguito Calvino - l'imprenditore ha chiuso il cantiere ed è andato alla Squadra mobile denunciando le richieste estorsive. Subito, dalla descrizione dell'imprenditore, abbiamo individuato Rubino e abbiamo installato le telecamere". L'imprenditore ha così riaperto il cantiere e subito Rubino si è ripresentato chiedendo tremila euro. A questo punto è scattato l'arresto da parte degli agenti. "Ancora una volta un imprenditore si è messo a disposizione dello Stato - ha detto il questore Nicola Zito - è venuto da noi, ci ha raccontato la sua storia con grande coraggio. Questo ci permette di accelerare i tempi della lotta alla criminalità mafiosa".

 
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view post Posted on 25/5/2011, 21:41




ROMA - Le sale da gioco e i centri scommesse sono i nuovi business di Cosa nostra che corrompeva funzionari dei Monopoli di Stato per ottenere in tempi rapidi concessioni e licenze. La Dia di Palermo, con l'accusa di corruzione aggravata dall'associazione mafiosa, ha arrestato 10 persone.

In carcere, tra gli altri, l'ex direttore dell'agenzia dei Monopoli siciliani, attualmente responsabile delle sedi di Campania e Sardegna, Nicola Andreozzi, il vicedirettore della sede siciliana, Salvatore Magno e un dipendente, Giovanni Polizzi, assessore all'Urbanistica in un Comune del palermitano.

C'è anche una donna, Maria Franca Simula, impiegata alla direzione Nazionale dei Monopoli tra gli arrestati. La Simula nel 2003 è stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica. L'inchiesta ha potuto contare su numerose intercettazioni ambientali e telefoniche.

Secondo gli investigatori per accelerare le pratiche per le concessini di sale giochi i prestanome dei boss "offrivano" ad alcuni funzionari vacanze, escort e cene. La corruzione funzionava anche per conoscere in anticipo i controlli che i Monopoli avevano intenzione di fare: i funzionari corrotti in cambio di una cena o di elettrodomestici, facevano sapere ai titolari dei centri che stavano per scattare gli accertamenti.

Oltre a favori e regali i funzionari avrebbero ottenuto, anche da prestanomi di Cosa Nostra, somme di denaro: uno dei dipendenti arrestato, Giovanni Polizzi, in meno di un anno avrebbe intascato tangenti per oltre 40 mila euro. I soldi sarebbero stati accreditati su conti segreti tramite bonifici.

L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dal pm Sergio De Montis. Tra i corruttori l'imprenditore Michele Spina, titolare della Primal, una società catanese aggiudicataria di 24 sale giochi e 71 punti Snai: secondo gli investigatori dietro Spina ci sarebbe Sebastiano Scuto, proprietario di una serie di supermercati condannato per associazione mafiosa.

Ai domiciliari, invece, è finito Francesco Sasarubea, ex amministratore della sala bingo Las Vegas, a Palermo, confiscata dagli inquirenti in un'indagine sul riciclaggio di denaro da parte della mafia.
 
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view post Posted on 26/5/2011, 19:14




Boss donna a capo della cosca
per annientare i rivali catanesi



CALTANISSETTA - Una forte contrapposizione tra clan, tra il 2007 e il 2008, rischiò di sfociare in una guerra di mafia per la definizione dei nuovi assetti mafiosi a Catenanuova. È quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Enna che hanno arrestato dieci persone, compresa una donna, Agata Cicero, moglie del presunto boss Leonardi, per associazione mafiosa.

L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip di Caltanissetta su richiesta della Dda della Procura Nissena. Secondo l'accusa, del clan avrebbero fatto parte l'imprenditore agricolo Giuseppe Pecorino, di 69 anni; Salvatore Leonardi, di 45, già detenuto, Prospero Riccombeni, di 39, disoccupato, residente a Milano; Agata Cicero, di 45, agli arresti domiciliari; Filippo Passalacqua, di 31; l'allevatore Maurizio Prestifilippo Cirimbolo, di 32; Antonino Mavica, di 46, gia detenuto; il meccanico Giuseppe Girasole, di 51; l'operaio Masssimo Grasso, di 31.

Arrestato anche un consigliere comunale di Maniace (Ct), Salvatore Galati Muccilla, 49 anni, allevatore, che deve rispondere solo di detenzione e porto abusivo di armi da fuoco. Le indagini dei carabinieri hanno riguardato anche due agguati: quello del 20 febbraio 2007 in cui rimase gravemente ferito il pregiudicato Prospero Riccombeni, e l'uccisione a colpi di kalashnikov di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, 47 anni, fratello dell'arrestato Maurizio, in quella che e stata definita la strage di Catenanuova, del 15 luglio 2008, in cui rimasero ferite altre cinque persone.

Riorganizzare la cosca e annientare i clan dei "catanesi" e dei loro alleati, in particolare quelli del clan Cappello. Era il compito che, secondo gli investigatori, il boss Leonardi avrebbe affidato alla moglie, Agata Cicero.

Il ruolo della donna è stato sottolineato dal procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, e dal procuratore aggiunto Amedeo Bertone, che hanno condotto l'inchiesta che ha svelato l'assetto mafioso a Catenanuova, dopo il periodo di reggenza da parte della famiglia di Enna, che faceva capo a Gaetano Leonardo, conosciuto come "u Liuni", e che aveva affidato il controllo del territorio prima a Salvatore Leonardi, arrestato nel '8 e poi ad Antonino Mavica e Prospero Riccombeni, arrestati nel 2002 per associazione mafiosa e condannati con sentenza definitiva.

Secondo gli inquirenti Riccombeni, tornato in libertà, avrebbe ripreso il controllo del territorio ma, malgrado fosse un uomo d'onore di Cosa nostra ennese, avrebbe chiesto l'appoggio al clan Cappello di Catania per gestire le attività illecite. Riccombeni, accusato di una cattiva gestione degli affari e per questo vittima nel 2007 di un tentativo di omicidio, fu sostituito, per imposizione del clan catanese, da Salvatore Prestifilippo Cirimbolo.

Quest'ultimo però si sarebbe rivelato poco affidabile, quindi eliminato nel corso della cosiddetta "strage di Catenanuova" e sostituito da Filippo Passalacqua, legato alla figlia di Giuseppe Salvo, ergastolano, considerato esponente di spicco del clan Cappello.

Cinque condanne e un patteggiamento al processo con rito abbreviato contro i presunti appartenenti alla cosca mafiosa di Aidone (Enna). Elena Caruso, 42 anni, compagna del presunto capo del piccolo ma agguerrito clan, è stata condannata a 5 anni di reclusione, per estorsione: il Gup l'ha assolta dall'accusa di associazione mafiosa. Per lei l'accusa aveva chiesto 9 anni di reclusione.

Il compagno di Caruso, Vincenzo Scivoli, 43 anni, è stato condannato a 10 anni, 10 mesi e 20 giorni di carcere; a Riccardo Abati, 48, anni, di Piazza Armerina, il Gup ha inflitto 11 anni ed 8 mesi, contro i 14 chiesti dal Pm Condorelli; 9 anni e 20 giorni a Ivano Antonio Di Marco, catanese di 38 anni, infine 6 anni per Marco Gimmillaro, 37 anni di Piazza Armerina.

Caruso e Scivoli sono inoltre stati condannati al risarcimento del danno, liquidato dal Gup in 21 mila euro, in favore dell' impresa edile costituitasi parte civile al processo e dovranno inoltre rifondere le spese di costituzione alla stessa impresa, quantificate in poco meno di 5 mila e 500 euro.

Nel corso della stessa udienza è stato ratificato il patteggiamento a 1 anno e 10 mesi per Giuseppe Donato, 47 anni, al quale non era stata contestata l'associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo le risultanze delle indagini coordinate dalla Dda di Caltanissetta e condotte dalla Squadra mobile di Enna, gli imputati avrebbero gestito il racket delle estorsioni tra Aidone e Piazza Armerina.

Il pizzo sarebbe stato imposto ad imprese, commercianti, operatori economici, ma anche per la restituzione di armi trafugate durante furti commessi soprattutto nelle zone rurali, venivano chieste somme di denaro, anche di poche centinaia di euro, per la restituzione.
 
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view post Posted on 30/5/2011, 22:41




Informò Binnu con un pizzino
arrestato prestanome del boss



PALERMO - Avrebbe imposto per la costruzione del passante ferroviario e per il rifacimento del porto di Balestrate di acquistare il calcestruzzo dalla sue società.

Affari gestiti per conto dei boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa la Dia ha arrestato Andrea Impastato, 63 anni, già sorvegliato speciale. L'ordine di custodia cautelare è stato firmato dal gip del tribunale di Palermo, Riccardo Ricciardi.

Nel covo di Provenzano dopo il suo arresto fu trovato un pizzino datato 25 febbraio 2006, che sarebbe stato scritto da Lo Piccolo che era in quel periodo latitante. Il boss del quartiere San Lorenzo informava il capomafia di Corleone dell'imminente partenza dei lavori per la realizzazione della metropolitana, invitandolo a fornire il nome di qualche imprenditore di sua conoscenza nella produzione e nella fornitura del calcestruzzo che sarebbe stato inserito nel consorzio che stava creando proprio con Impastato: "... Lo informo, che siccome in breve (forse in aprile) dovrebbe iniziare la metropolitana che è un grosso lavoro e quindi le volevo chiedere che se le interessa qualche calcestruzzi di fare lavorare me lo faccia sapere che la inserisco nel consorziato che sto facendo con Andrea Impastato. In merito attendo sue notizie".

Le intercettazioni sia telefoniche che ambientali confermarono successivamente la diretta partecipazione delle imprese riconducibili a Impastato nei lavori del passante ferroviario attraverso la fornitura del calcestruzzo nei diversi cantieri, che nel frattempo erano stati aperti lungo la tratta compresa tra Carini ed il quartiere di Brancaccio. Nella stessa inchiesta è stato indagato Domenico D'Amico, 61 anni, gia condannato per mafia, con l'accusa di trasferimento di quote delle sue società ad alcuni suoi familiari incensurati, per evitarne il sequestro.

Dell'andamento dei lavori Impastato veniva informato costantemente dai familiari anche durante la detenzione nel carcere Ucciardone in cui si trovava per scontare una condanna per concorso in associazione mafiosa che gli aveva inflitto la corte d'appello di Palermo.

Dai colloqui, intercettati dagli investigatori, è emerso il legame che si era venuto a creare tra il responsabile della associazione temporanea di imprese formalmente aggiudicataria dei lavori ed i titolari di due società entrambe riconducibili alla famiglia Impastato.

L'inchiesta ha svelato anche le pressioni sulla prefettura di Palermo dirette a ottenere le autorizzazioni ai lavori per le società di Impastato negate proprio perché Impastato era stato condannato per mafia con sentenza definitiva.
 
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view post Posted on 31/5/2011, 16:18
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Catania 28 maggio

agenti della Squadra Mobile- Sezione criminalità organizzata, hanno tratto in arresto i fratelli Alfio e Carmelo Motta di Belpasso, rispettivamente di 47 e 52 anni, titolari della Someca, un'azienda che commercializza all'ingrosso carni fresche. Insieme a loro, le manette sono scattate anche per i pregiudicati, Natale Raccuia di 37 , Rosario Bucolo di 36 anni e il 38enne Cesare Marletta, ritenuti affiliati al clan Santapaola, già noti alla Squadra Mobile, perché già conosciuti nel corso dell’indagine Revenge, quali emissari del boss catanese di cosa nostra Vincenzo Aielo, ,intervenuti in favore di un imprenditore della distribuzione all’ingrosso di carni che era entrato in contrasto con i vertici del clan Cappello, per vicende che riguardavano la gestione di alcune macellerie all’interno di supermercati a Catania.

Le indagini coordinate dai procuratori della dda di Catania, dott. Carmelo Zuccaro e Sost. Proc. d.ssa Iole Boscarino hanno preso avvio all’inizio di quest’anno, quando gli agenti dello s.c.o. hanno individuato un operatore del settore della distribuzione di carni, che aveva subito della minacce dai due arrestati, Bucolo e Marletta. Le indagini hanno permesso di scoprire che l'agente di commercio, dopo che era entrato in contrasto con i Motta, suoi ex datori di lavoro, pretendevano da lui una somma di denaro in ragione dei loro pregressi rapporti di lavoro (per decine di migliaia di euro), era stato successivamente avvicinato dai pregiudicati Bucolo, Marletta e Raccuia. Su incarico dei fratelli Motta, i quali lo avrebbero minacciato di morte per imporgli il pagamento di una somma di gran lunga maggiore e ben superiore ai centomila euro. Gli arrestati, sono accusati di tentata estorsione con l'aggravante di avere agito con metodi mafiosi, mentre Bucalo deve rispondere anche del pestaggio dell'ex agente di commercio.


 
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view post Posted on 9/6/2011, 13:17




Gela, licenze per la vendita di droga

usher arrestati, il boss va a spacciare



CATANIA - Un blitz dei carabinieri lo priva di un cassiere, di una vedetta e di tre spacciatori, ma per non lasciare la piazza senza presidio, e non avendo pusher a disposizione, scende in strada lui stesso a vendere cocaina.

Protagonista della vicenda Giuseppe Barbato, indicato come il reggente per lo spaccio di droga in via Capo Passero e vicino al clan Santapaola, nel rione San Giovanni Galermo di Catania, che è stato arrestato in flagranza di reato da militari dell'Arma che erano ritornati sul 'luogo del delitto'.

Le due operazioni sono state eseguite a poche ore di distanza l'una dall'altra da militari dell'Arma della compagnia Fontanarossa. Nel primo intervento sono arrestate cinque persone: tre spacciatori, Mirko Scardaci, Angelo Lombardo e Raffaele Fichera, un giovane che faceva da 'vedetta', A. C., e il cassiere del gruppo in azione, Gianluca Sapiente.

Il blitz dei carabinieri ha privato la piazza della vendita di cocaina. Ma il reggente dello spaccio di droga della zona, non potendosi riorganizzare in breve tempo e non potendo procurarsi subito altri pusher, per evitare di perdere incassi è sceso direttamente lui in piazza e spacciare. Non pensava che i militari dell'Arma sarebbero ritornati alcune ore dopo e, scoprendolo, lo hanno arrestato.

GELA (CALTANISSETTA) - I carabinieri del comando territoriale di Gela hanno eseguito 16 ordini di custodia cautelare in carcere per traffico di stupefacenti ed associazione a delinquere semplice. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip del tribunale di Gela, Veronica Vaccaro, su richiesta del procuratore capo della Repubblica, Lucia Lotti.

Gli arresti giungono al termine di un'inchiesta, protrattasi per quasi un anno, con la quale i carabinieri hanno sgominato una capillare organizzazione di spacciatori, identificandone il capo assoluto, che concedeva le "licenze" di vendita, i suoi diretti collaboratori con il ruolo di "grossisti", fino ad arrivare ai "dettaglianti".

Tra gli arrestati figurano anche un grosso fornitore palermitano e un pregiudicato gelese che agiva dagli arresti domiciliari di Busto Arsizio, grazie ai fitti collegamenti della ragnatela di pusher a loro disposizione. Hashish e marijuana arrivavano da Palermo mentre la cocaina giungeva da Catania. Durante le indagini, i carabinieri, diretti dal maggiore Alessandro Magro, hanno proceduto al sequestro di alcune partite di droga.

Questi i nomi degli arrestati nell'operazione antidroga denominata "Porsche", dal marchio
impresso sui panetti di hashish: Damiano Nicastro, di 21anni, ritenuto il capo dell' organizzazione; Alessandro Polizzotto, di 33 anni, di Palermo, fornitore di rilevanti quantità di hashish; Giuseppe Nicastro, di 22 anni (in sei mesi avrebbe effettuato oltre 20 viaggi di approvvigionamento di droga a Palermo), Graziano Gaetano Argenti, di 29, incaricato di curare i rifornimenti di cocaina da Catania e della distribuzione anche sulla piazza di Vittoria; Nicolò Morello di 27 anni, domiciliato a Busto Arsizio (Varese) da dove, con messaggi criptati sul social network "Facebook", impartiva ordini ai suoi uomini di fiducia, Manuel Tandurella, di 24 anni, e Biagio Di Simone, di 20, anche loro finiti in manette.

Arrestati inoltre Giovanni Manfrè, di 20 anni, Salvatore Raniolo, di 21, Mirco Brivitello, di 26 anni, Benedetto Giuseppe Curvà, di 25, Alessandro Emanuele Pellegrino, di 20 anni, Salvatore La Placa, di 25, Filippo Andrea Scimè, di 23. Altre due persone sono risultate irreperibili e sono ricercate.

Le indagini, svolte dai carabinieri nell'arco del 2009, hanno permesso di mettere in luce "una capillare rete di spacciatori, che - ha detto il procuratore della Repubblica, Lucia Lotti - non si inquadra nella struttura della mafia tradizionale, decimata da arresti e condanne, ma opera in maniera autonoma come una normale impresa commerciale, impegnando decine di giovani in un'attività lavorativa illecita, pronti però a diventare manovalanza del crimine organizzato".
 
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view post Posted on 11/6/2011, 22:35
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CATANIA - Avrebbe chiesto il pagamento del pizzo all'amministratore di una società che gestisce il parcheggio di un ospedale della città. Per questo motivo agenti della squadra mobile di Catania hanno arrestato Giuseppe Buda, di 34 anni, cugino del noto boss Orazio Privitera, detenuto al 41 bis - ora accusato di estorsione aggravata dai metodi e dalle finalità di mafia.

Gli agenti hanno bloccato sia l'imprenditore che Buda, sospettato di essere inserito in contesti mafiosi, nel momento della consegna della "rata" di giugno, 800 euro. Le indagini erano cominciate dopo che l'imprenditore aveva detto alla polizia di essere stato avvicinato da Buda - che lavora in una cooperativa di servizi che fornisce personale ausiliario alle aziende ospedaliere - che gli aveva detto che doveva "mettersi a posto".

L'imprenditore non aveva però fornito successivamente nessuna altra informazione nonostante le indagini, coordinate dalla Dda, abbiano documentato contatti tra Buda e l'imprenditore. L'imprenditore ha ammesso che gli 800 euro costituivano la mensilità del pizzo di giugno che era costretto a versare a Buda come esponente della 'famiglia' che rappresentava
 
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view post Posted on 13/6/2011, 09:59
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TRAFFICANTE CONDANNATO
Sconterà 5 anni e 4 mesi per droga

CATANIA Agenti della squadra mobile hanno arrestato il 41enne Sebastiano Mascali; l’uomo era colpito da un ordine di carcerazione, emesso dalla Procura della Repubblica di Catania,per espiare una condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione per spaccio di sostanze stupefacenti
 
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view post Posted on 13/6/2011, 10:26
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Nel pomeriggio di ieri, i Carabinieri della Stazione di Capizzi hanno dato esecuzione all’ordinanza custodiale di carcerazione emessa dal Tribunale di Messina, a carico di un pregiudicato 53enne riconosciuto colpevole di associazione di tipo mafioso.
A finire in manette FRASCONÀ CANTALANOTTE Nicolò, nato a Capizzi (ME) cl. 1957, pregiudicato, ed in atto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari.
Secondo quanto riportato nel provvedimento restrittivo, il prevenuto dovrà espiare una pena residua di un anno, un mese e 14 giorni di reclusione per il reato di associazione di tipo mafioso.
Il FRASCONÀ CANTALANOTTE Nicolò, dopo le formalità di rito e su dispostone dell’A.G. è stata ristretto presso la Casa Circondariale di Nicosia.

 
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°Lilo°
view post Posted on 14/6/2011, 12:53




(AGI) - Catania, 14 giu. - E' scattata a Catania una vasta operazione della Guardia di Finanza nei confronti di un gruppo criminale storicamente collegato a Cosa nostra etnea, capeggiata dai Santapaola. Quattordici i destinatari di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, tra cui una donna, moglie del boss e "cassiera" del clan, tutti componenti un gruppo criminale armato particolarmente attivo nella zona della stazione ferroviaria centrale, dedito prevalentemente ad estorsioni ai danni di numerosi operatori economici che in diverse circostanze hanno collaborato. Contemporaneamente sono in corso i sequestri di numerose imprese, fabbricati, auto e conti correnti frutto delle attivita' illecite, per un valore totale di oltre 5 milioni di euro. (AGI) Ct1/Mrg
 
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view post Posted on 18/6/2011, 22:37
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I carabinieri della Stazione di San Cipirello ieri si sono presentati presso il suo terreno ed appena visti, Giovanni Nicola Simonetti, 61 anni, ha immediatamente compreso che per lui si stavano aprendo le porte del carcere, dove dovra' scontare la pena di sette anni di reclusione per estorsione pluriaggravata.
L'uomo e' ritenuto colpevole di aver fatto da intermediario tra due imprenditori edili del luogo, vittime di diversi danneggiamenti a mezzi meccanici, e gli esponenti dell'allora famiglia mafiosa di San Cipirello e del mandamento di San Giuseppe Jato, ricevendo dai due imprenditori la somma complessiva di 180 milioni di vecchie lire. Dopo le formalita' di rito Simonetti e' stato rinchiuso presso il carcere Ucciardone di Palermo a disposizione dell'Autorita' giudiziaria.
 
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°Lilo°
view post Posted on 24/6/2011, 11:36




MESSINA - I carabinieri e la Dia stanno eseguendo a Messina e provincia ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di 30 indagati accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, porto e detenzione abusiva di armi, intestazione fittizia di beni e altri reati, tutti aggravati dalla modalità mafiosa. Alcuni degli arrestati farebbero parte del clan delle famiglie mafiose di Barcellona Pozzo di Gotto e di Mazzarrà Sant'Andrea. Durante l'operazione sono stati sequestrati beni per complessivi 150 milioni di euro.
www.lasicilia.it/index.php?id=60035&template=lasiciliait

Edited by °Lilo° - 25/6/2011, 01:29
 
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°Lilo°
view post Posted on 1/7/2011, 15:05




PALERMO (Reuters) - I carabinieri hanno arrestato Gaetano Riina, fratello del capo di Cosa nostra e altre tre persone ritenute appartenenti al mandamento mafioso di Corleone, che svolge ancora un ruolo centrale nell'organizzazione criminale. Lo hanno detto questa mattina i carabinieri in una nota.

Gli indagati sono a vario titolo accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione.

L'operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, nasce da un'indagine dei carabinieri di Corleone e dal Ros, che dura da tre anni.

"Tra gli arrestati spicca Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, capo indiscusso di Cosa Nostra", si legge nella nota. "L'indagine mette in luce il ruolo centrale mantenuto dal mandamento di Corleone nonostante l'arresto dei capi storici, grazie anche alla guida dell'anziano corleonese Gaetano Riina".
 
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°Lilo°
view post Posted on 11/7/2011, 18:35




MESSINA - Imponevano il pizzo sui finanziamenti che otteneva l'associazione per l'assistenza agli spastici (Aias) a Barcellona Pozzo di Gotto. Per questo Giovanni Rao, 50 anni, Carmelo Giambò, 40 anni, Mariano Foti, 41 anni e Carmelo D'Amico, 40 anni, tutti già detenuti e componenti della famiglia mafiosa barcellonese sono stati arrestati su ordine di custodia del gip dopo le richieste dei pm e le indagini della polizia.

Secondo gli investigatori i quattro avevano vessato per nove anni con delle richieste estortive l'Aias di Barcellona pretendendo il pizzo sui finanziamenti pubblici che otteneva l'ente. Da quanto è emerso dalle indagini l'Aias avrebbe versato da 40 milioni di lire a 40 mila euro l'anno alla mafia barcellonese dal '99 al 2009. A capo dell'Aias in quegli anni c'era Pietro Arnò, che morì nel 2008 e che fu anche vittima di un attentato nel 2003 in cui quale rimase ferito.

Arnò era lo zio di Carmelo Giambò componente del clan mafioso e secondo gli investigatori non si oppose mai alle richieste estortive. Il pizzo veniva pagato prima a Giovanni Rao e poi a Carmelo D' Amico e Mariano Foti. L'Aias sarebbe stata costretta ad assumere persone legate al clan mafioso.

Il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte ha sottolineato durante la conferenza stampa in Questura che per ricostruire la vicenda sono state fondamentali le testimonianze dei collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano e Santo Gullo e di un ex presidente dell'Aias di Barcellona Luigi La Rosa che era subentrato ad Arnò.

Il questore di Messina Carmelo Gugliotta ha commentato: "È una brillante operazione, un duro colpo contro la mafia barcellonese che negli anni ha vessato l'economia del territorio".
 
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98 replies since 12/1/2011, 23:07   6176 views
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