| GELA (CALTANISSETTA) - Vasta operazione antimafia contro le cosche mafiose di Gela che avrebbero proiettato i propri interessi criminali in alcune zone del Nord Italia, tra la Sicilia, Lombardia e la Liguria. La polizia ha notificato 63 ordinanze cautelare in carcere, firmate dal Gip di Caltanissetta su richiesta della Dda, nei confronti di esponenti di spicco dei clan Rinzivillo ed Emmanuello. Sono accusati, a vario titolo, di estorsione, associazione mafiosa, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, incendi, detenzione e porto di armi.
L'indagine è stata condotta dallo Sco e dalle squadre mobili di Caltanissetta, Varese e Genova, due province del Nord Italia dove le cosche gelesi si sarebbero insediate da tempo. Nell'ambito dell'operazione, denominata in codice Tetragona, sono stati anche sequestrati appartamenti, ville e società edili, per un valore di oltre 10 milioni di euro.
Gli affiliati delle due cosche, da tempo in lotta tra loro per il predominio mafioso, erano inoltre coinvolti in un traffico di cocaina importata da Santo Domingo. I proventi illeciti venivano reinvestiti in immobili ed imprese commerciali nel Nord Italia. Sono state infine accertate numerose estorsioni nei confronti di imprenditori del settore edile e di titolari di esercizi commerciali. Delle 63 ordinanze di custodia cautelare, 36 sono state notificate in carcere a persone già detenute.
Tra gli arrestati anche un dipendente del Comune di Gela, Angelo Camiolo, ritenuto uomo di fiducia del clan Emmanuello e vicinissimo all'ex reggente, Crocifisso Smorta, ora collaboratore di giustizia. L'impiegato comunale avrebbe avuto il compito di informare la cosca sugli appalti banditi dal Comune di Gela e successivamente di riscuotere il pizzo dagli imprenditori che effettuavano i lavori.
Le indagini, durate tre anni, hanno permesso di svelare la complessa realtà di Cosa nostra di Gela e le sue ramificazioni nel varesotto e a Genova riconducibili ai Rinzivillo e agli Emmanuello. Le due famiglie rivali erano entrambe legate al capomafia della provincia di Caltanissetta Piddu Madonia, catturato nel 1992. Dopo la morte del boss Daniele Emmanuello, nel 2007, i Rinzivillo tentarono di riconquistare la leadership, approfittando della momentanea instabilità al vertice di Cosa nostra.
Il clan sarebbe riuscito a infiltrarsi nel Nord Italia, in particolare nella zona di Busto Arsizio, grazie a imprenditori gelesi compiacenti e ad alcuni affiliati rimasti in libertà. Proprio sull'asse Gela-Busto Arsizio la famiglia Rinzivillo sarebbe riuscita a reimpiegare i proventi illeciti, provenienti in particolare dal traffico di stupefacenti, finanziando attività imprenditoriali del settore edile. Nel corso delle indagini è emerso come gli uomini d'onore trasferitisi al Nord continuassero a mantenere contatti con la cosca contribuendo all'assistenza dei detenuti e delle loro famiglie, e partecipando alle decisioni di Cosa nostra.
Un capitolo a parte riguarda le estorsioni messe a segno dai due clan. Ben 15 imprenditori hanno collaborato con la giustizia denunciando intimidazioni e richieste di pizzo. Sono stati inoltre ricostruiti decine di episodi estorsivi, dalla classica messa in regola, all'imposizione di materiale da acquistare presso aziende amiche, all'assunzione di personale. Le indagini, infine, si sono avvalse della collaborazione di diversi pentiti appartenenti alla Stidda e a Cosa nostra.
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A Librino la droga fruttava 15 mila euro al giorno Blitz dei carabinieri a Catania, 9 arresti. La banda di trafficanti si avvaleva di una fitta rete di sentinelle e pusher 17/05/2011 CATANIA - Nove persone sono state arrestate a Catania dai carabinieri della compagnia di Fontanarossa durante una operazione antidroga nel quartiere di Librino.
Tra gli arrestati, con l'accusa di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, Francesco Condorelli, di 26 anni, che aveva preso le redini di una organizzazione dedita allo spaccio di droga dopo l'arresto, il 15 marzo scorso, del padre Pietro e del fratello Angelo durante una operazione nei confronti dei presunti componenti di una organizzazione con un giro di circa 15 mila euro al giorno. Condorelli è stato bloccato mentre pranzava in casa di una delle vedette.
Oltre a Francesco Condorelli sono finiti in manette la sua convivente, di 26 anni, Salvatore Ardizzone, di 30, Natale Drago, di 18. Arrestati anche i fratelli Giuseppe e Cristian Franceschino, rispettivamente di 40 e 22 anni, che avrebbero svolto il ruolo di vedette, un 21enne incensurato ed un 17enne che si occupavano dello spaccio, e un 16enne che aveva il ruolo di cassiere.
Secondo quanto accertato dagli investigatori Francesco Condorelli avrebbe riorganizzato la piazza e, avvalendosi di una fitta rete di spacciatori e fiancheggiatori, avrebbe creato una complessa organizzazione che presidiava tutta la zona e che poteva contare su una squadra di vedette che, posizionate nei palazzi circostanti, avevano il compito di dare l'allarme in caso di arrivo delle forze dell'ordine. Lui stesso controllava la zona a bordo del suo scooter ed era in contatto via radio con spacciatori e vedette.
I carabinieri hanno sequestrato 300 grammi di marijuana, 10 ricetrasmittenti, 3.000 euro in contanti, un centinaio di cartucce da caccia calibro 12, oltre 50 proiettili per pistola calibro 7.65 e 6.35, due pistole a salve calibro 8 ed un porta tesserino con dentro la riproduzione di un placca in uso alla polizia. L'attività dell'organizzazione è stata filmata e le conversazioni avvenute mediante radiotrasmittente sono state registrate dai carabinieri. L'operazione è scattata non appena i militari hanno accertato, durante una ricognizione in elicottero, l'esatta posizione delle vedette e il luogo ove veniva nascosta la droga. Durante alcune perquisizioni domiciliari i militari hanno anche denunciato 10 persone per furto di energia elettrica. Uno di loro, Antonino Valentino Carrubba, che era agli arresti domiciliari, è stato arrestato.
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Colpo alla mafia di Cammarata disponeva di esplosivi e armi Tra i quattro arrestati anche uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo. Le indagini hanno permesso di fare luce sulle dinamiche di altri mandamenti limitrofi 18/05/2011 CAMMARATA (AGRIGENTO) - I carabinieri hanno smantellato i vertici del mandamento mafioso di Cammarata e Casteltermini, nell'Agrigentino, arrestando quattro persone tra cui uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo.
L'operazione, denominata in codice 'Kamarat', è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, e dai sostituti della Dda Giuseppe Fici ed Emanuele Ravaglioli.
I provvedimenti, emessi dal gip Fernando Sestito, sono stati notificati ad Angelo Longo 47 anni, Mariano Gentile, di 48, Giovanni Calogero Scozzaro, di 53, e Vincenzo Giovanni Scavetto, di 71, al quale sono stati concessi i domiciliari. In particolare Angelo Longo, figlio del boss di Cammarata Luigi, è accusato di avere avuto un ruolo anche nel sequestro del piccolo Giuseppe di Matteo, il figlio del pentito Santino fatto poi sciogliere nell'acido su ordine di Bernardo Brusca. Tutti gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa con l'aggravante della disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle finalità dell'organizzazione.
L'indagine ha preso spunto da una serie di operazioni antimafia condotte nell'agrigentino a partire dal 2000 e si è avvalsa anche delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. che, nel corso degli anni, hanno contribuito a svelare struttura e dinamiche interne di Cosa Nostra agrigentina, oltre che identità e ruolo dei suoi principali esponenti, dedicando specifica attenzione alle dichiarazioni riguardanti il territorio di Cammarata, San Giovanni Gemini, Castronovo di Sicilia e Casteltermini.
"Gli elementi così raccolti - spiegano gli investigatori - consentono di aprire significativi squarci sulla attuale conformazione delle famiglie mafiose operanti nei territori, all'evoluzione subita nel corso degli ultimi venti anni, alla correlata ridefinizione delle sfere di influenza, considerando che si tratta di contesti territoriali di confine tra le province di Palermo, Caltanissetta ed Agrigento, ai rapporti con le famiglie limitrofe".
Il sequestro del piccolo di Matteo fu commesso in concorso con Giovanni ed Enzo Brusca, Leoluca Bagarella, Gerlandino Messina, Alfonso Falzone e Luigi Putrone. Avvenne il 23 novembre 1993 a Villabate e proseguì in provincia di Agrigento e in altre località della Sicilia. Poi il piccolo Giuseppe fu strangolato e disciolto nell'acido a San Giuseppe Jato l'11 gennaio 1996. Gli arrestati sono stati rinchiusi al Pagliarelli di Palermo.
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