Ha un nome l'uomo che ha fornito ai boss di Cosa nostra l'esplosivo per le stragi del 1993, ma anche per gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si chiama Cosimo D'Amato, ha 57 anni, vive a Santa Flavia, centro alle porte di Palermo: ufficialmente, è solo un pescatore, che non ha mai avuto alcun guaio con la giustizia, ma è cugino di primo grado del boss palermitano Cosimo Lo Nigro, già condannato per le stragi. Gli investigatori della Dia l'hanno arrestato sulla base di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Firenze Anna Favi, su richiesta della Procura che indaga sugli eccidi del 1993.
Per l'individuazione di D'Amato sono state determinanti le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. “Circa un mese e mezzo prima della strage di Capaci – ha messo a verbale l'ex sicario del clan Brancaccio - vengo contattato da Fifetto Cannella, mi dice di procurare una macchina più grande che dobbiamo prelevare delle cose. A piazza Sant’Erasmo, ad aspettarci, c’erano Cosimo Lo Nigro e Giuseppe Barranca. Noi aspettavamo anche Renzino Tinnirello. Quindi siamo andati a Porticello, ci siamo avvicinati alla banchina e c’erano tre pescherecci ormeggiati: siamo saliti sopra uno di questi e nei fianchi erano legate delle funi, quindi abbiamo tirato la prima fune e c’erano praticamente semisommersi dei fusti, all’incirca mezzo metro per un metro. Quindi, abbiamo tirato sulla barca il primo fusto, poi il secondo e li abbiamo trasferiti in macchina”.
Su queste dichiarazioni
hanno lavorato i pm di Firenze, ma anche i colleghi della Procura di Caltanissetta, che si occupano dei misteri del '92: a bordo di una di quelle imbarcazioni ci sarebbe stato D'Amato, il regista della delicata consegna. Racconta Spatuzza: "Su un'imbarcazione abbiamo trovato un ragazzo, si chiama Cosimo, un biondino che all'epoca aveva 30 anni". Attraverso una serie di indicazioni fornite del pentito, gli investigatori della Dia sono arrivati al cugino di Lo Nigro.
"Era Cosimo che si occupava del recupero dell'esplosivo in mare", ha spiegato ancora Spatuzza. "Lo prendeva da alcuni ordigni della seconda guerra mondiale rimasti nei fondali davanti Palermo". I rifornimenti sarebbero proseguiti anche durante il 1993. "Per le stragi mafiose è stato utilizzato sempre lo stesso esplosivo, che proveniva dallo stesso luogo", conferma il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi. Scrive il gip di Firenze nel suo provvedimento: "Le consulenze già svolte dai periti hanno evidenziato in ciascuna delle cariche esplosive utilizzate per le stragi i medesimi componenti, miscelati: sono da rincondurre ad esplosivi di tipo militare e segnatamente tritolo (o Tnt), T4 (o Rdx), e Pentrite (o Petn)". Per la strage di Capaci, furono utilizzati 500 chili di esplosivo. Per via d'Amelio, 100 chili. Per l'attentato di Firenze, la carica era da 250 chili.
Le indagini di Caltanissetta sul pescatore palermitano sono ancora in corso, anche per verificare eventuali complicità. Di certo, l'operazione di recupero in mare è da addetti ai lavori: così è tornata l’ombra di esperti artificieri che potrebbero aver collaborato con i boss. Ma su questo aspetto le dichiarazioni del collaboratore Spatuzza sono ancora coperte dal segreto istruttorio. E a Caltanissetta, D'Amato è tecnicamente ancora un indagato a piede libero.
Le indagini di Firenze, invece, si sono concluse nelle scorse settimane: D'Amato è adesso accusato di concorso in strage, per aver procurato l'esplosivo utilizzato negli attentati di via Fauro a Roma (14 maggio 1993), via dei Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma (28 luglio 1993), via Palestro a Milano (27 luglio 1993). L'uomo avrebbe fornito il tritolo anche per il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma del 23 gennaio 1994.
Indagini e riscontri
Spatuzza non conosceva il cognome di "Cosimo il pescatore". Sapeva però che era molto vicino a Cosimo Lo Nigro. Gli investigatori della Dia hanno iniziato la loro indagine facendo un controllo all'ufficio anagrafe di Santa Flavia: è così emerso che esistono solo sette persone con il nome Cosimo nate fra il 1955 e il 1968. Solo due, però, fanno i pescatori a Porticello. E uno è il cugino di Lo Nigro.
Nel dicembre 2010, gli investigatori della Dia di Caltanissetta fecero in gran segreto un sopralluogo a Santa Flavia, insieme con Spatuzza. Il pentito portò i funzionari della direzione investigativa antimafia in una viuzza del paese, via Buonarroti: "Qui sono stato su indicazione di Lo Nigro - spiegò - per cercare Cosimo". Proprio in via Buonarroti abitava la famiglia D'Amato.
Il ruolo attuale di D'Amato
Secondo la ricostruzione della Procura di Firenze, Cosimo D'Amato sarebbe ancora un insospettabile a disposizione della famiglia mafiosa di Brancaccio. Insomma, il braccio operativo dei boss Filippo e Giuseppe Graviano, ormai in carcere dal 1994. Il 31 ottobre 2007, il pescatore di Porticello era stato fermato dalla polizia di frontiera a Courmayer. Tre anni prima, i carabinieri l'avevano controllato a Noceto, in provincia di Parma. In entrambi i casi, Cosimo D'Amato era in compagnia di pregiudicati che sono risultati vicini anche loro alla famiglia Graviano. Il sospetto degli inquirenti è che negli ultimi anni D'Amato sia stato reclutato nella schiera di incensurati che hanno gestito il grande patrimonio dei Graviano.
I familiari delle vittime
"L'arresto di D'Amato è indubbiamente una buona notizia, bisogna renderne merito a chi a permesso tutto ciò, ma non ci piacciono le enfatizzazioni", dice Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: "Non vorremmo che si spostasse l'attenzione da cose più gravi, come la trattativa fra Stato e mafia, di cui si parlerà fra qualche giorno a Palermo. Non è un nome in più o un nome in meno che fa la differenza, sappiamo già tutto, anche grazie alle indagini di magistrati che non ci sono più, come Gabriele Chelazzi. Quelli che mancano all’appello sono i nomi dei concorrenti non mafiosi nella strage".
(12 novembre 2012) © Riproduzione riservata
Fonte La Repubblica
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