| UN'ALTRA ORDINANZA DI ARRESTO ANCHE PER IL PENTITO CALOGERO PULCI Nuovi arresti per la strage di via D'Amelio Ordinanze di custodia cautelare in carcere per il boss Salvatore Madonia e per Vittorio Tutino e Salvatore Vitale
MILANO - La Dia ha eseguito 4 ordinanze di custodia cautelare del Gip di Caltanissetta per 4 indagati nella nuova inchiesta sulla strage di Via D'Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Riguardano uno dei presunti mandanti, il boss Salvatore Madonia, e due presunti esecutori, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale. Un'altra ordinanza è stata eseguita per un pentito, Calogero Pulci per falsa testimonianza. LE ACCUSE - Il provvedimento è stato notificato dalla Dia in carcere a Madonia e Tutino, perchè già detenuti, e nella casa di cura in cui è ricoverato, agli arresti domiciliari, per gravi patologie a Vitale. L'ordinanza scaturisce dall'inchiesta aperta dalla Procura nissena sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che ha portato alla revisione dei processi «Borsellino» e «Borsellino-bis» davanti la Corte d'appello di Catania. Lo stesso pentito è indagato, così come Madonia, Tutino e Vitale, per strage aggravata. Ma agli arrestati sono stati attribuiti anche altri reati quali l'aver agevolato l'associazione mafiosa e avere agito anche per fini terroristici. Tutino è accusato di aver effettuato, assieme a Spatuzza, il furto della Fiat 126 da utilizzare per la strage. Avrebbe anche procurato due batterie e un'antenna, necessari per alimentare e collegare i dispositivi di innesco dell'esplosivo collocato nella Fiat 126 parcheggiata in via D'Amelio. Salvatore Vitale, già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, avrebbe procurato l'esplosivo i congegni elettronici per l'autobomba, e sarebbe stato la «talpa» degli attentatori in via D'Amelio, dove abitava in un appartamento situato al piano terra dello stesso edificio in cui viveva Rita Borsellino, la sorella del magistrato. Da quella posizione «privilegiata», Vitale secondo l'accusa fornì supporto logistico per la preparazione della strage e informazioni indispensabili circa la presenza e le abitudini della famiglia, e soprattutto sulle visite che il giudice Borsellino faceva ai familiari in via D'Amelio. Vitale avrebbe inoltre messo a disposizione di Giuseppe Graviano il suo maneggio in contrada Regia Corte, dove Spatuzza ha riferito di aver consegnato allo stesso Graviano le targhe per la Fiat 126 imbottita di esplosivo.
LA SVOLTA - Le nuove ordinanze di custodia cautelare si inquadrano nella revisione dei processi sulla strage di via d'Amelio e darebbero corpo alla nuova ricostruzione dei veri motivi dell'uccisione del giudice palermitano e della sua scorta. Secondo quanto sta emergendo dalle nuove indagini il giudice Paolo Borsellino venne ucciso dalla mafia assieme a cinque uomini della sua scorta nell'attentato di via D'Amelio perchè era percepito dal boss di Cosa Nostra Totò Riina come un «ostacolo» alla trattativa con esponenti delle istituzioni. Una trattativa che «sembrava essere arrivata su un binario morto» e che il capomafia voleva «rivitalizzare» con una sanguinaria esibizione di potenza. «La tempistica della strage è stata certamente influenzata dall'esistenza e dalla evoluzione della così detta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra» si legge negli atti della Procura di Caltanissetta. «Dalle indagini è altresì risultato», scrivono ancora i Pm nisseni che al riguardo richiamano la testimonianza di Liliana Ferraro, succeduta a Giovanni Falcone al ministero della Giustizia, «che della trattativa era stato informato anche il dottor Borsellino il 28 giugno del 1992. Quest'ultimo elemento aggiunge un ulteriore tassello all'ipotesi dell'esistenza di un collegamento tra la conoscenza della trattativa da parte di Borsellino, la sua percezione quale ostacolo da parte di Riina e la conseguente accelerazione della esecuzione della strage».
DICHIARAZIONI - Secondo la Procura di Caltanissetta, «questa conclusione è legittimata, tra l'altro, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell'ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l'esecuzione dell'attentato omicidiario nei confronti dell'onorevole Calogero Mannino perchè vi era una vicenda più urgente da risolvere». Mannino, ex ministro democristiano e segretario della Dc siciliana, è stato di recente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa, per ipotetiche pressioni che, temendo di essere ucciso, avrebbe esercitato all'epoca delle stragi per un ammorbidimento del regime carcerario del 41 bis. L'ordine dato dal boss corleonese di interrompere la preparazione dell'agguato contro Mannino, secondo i magistrati di Caltanissetta, «appare rivelatore della decisione da parte del Riina quanto meno di anticipare l'esecuzione del progetto omicidiario già deliberato - dalla commissione provinciale di Palermo di cosa nostra nel dicembre del 1991 - nei confronti del dottor Paolo Borsellino». Borsellino, due giorni dopo la strage di Capaci, aveva incontrato il capo del Ros dei carabinieri Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, e «il primo luglio 1992, con certezza, il dottor Borsellino aveva incontrato al Ministero dell'Interno il capo della polizia Parisi ed il Prefetto Rossi, nonchè il ministro Mancino», ricostruiscono i Pm a proposito dei contatti istituzionali del magistrato nei giorni dell'approccio dei carabinieri con l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, indicato come il tramite della trattativa. Interrogato il 17 marzo 1993, Ciancimino tentò però di collocare l'inizio della trattativa in un momento successivo all'attentato di via D'Amelio e riferì «di avere cominciato i colloqui con De Donno dopo la strage Borsellino, in ciò andando contro le stesse successive ammissioni del capitano De Donno, e contro le stesse dichiarazioni del colonnello Mori, che riferiscono entrambi di un inizio dei colloqui con Vito Ciancimino da parte di De Donno già nel mese di Giugno del 1992». Interrogato dai magistrati, Brusca sull'anticipazione dell'attacco contro Borsellino, ha detto: «Non ho mai parlato con Riina del fatto che il dottor Borsellino sia stato ucciso in quanto ostacolo alla trattativa. Si tratta di una mia interpretazione basata sulla conoscenza che ho dei fatti di cosa nostra ma anche delle vicende processuali cui ho partecipato. Mi venne detto da Riina che vi era "un muro" da superare ma in quel momento non mi venne fatto il nome di Borsellino. È sicuro, comunque, che vi fu un'accelerazione nell'esecuzione della strage», ha detto ancora Brusca, interrogato dai magistrati.
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